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Aggiornamento Mercati al 7 Marzo

aggiornamento-mercati-al-7-marzo-2022

Impatto macroeconomico: le variabili rilevanti

L’inatteso avvento della guerra in Ucraina complica il nostro scenario centrale costruttivo, che prevedeva la resilienza dell’espansione mondiale alla prevista normalizzazione monetaria. Una contenuta riduzione dei rischi nei portafogli appare opportuna, considerando da un lato l’aggiustamento al ribasso già realizzato dai mercati, dall’altro l’eccezionale incertezza che caratterizza l’evolversi della situazione attuale e le sue ripercussioni.

In positivo, permangono importanti fattori di supporto all’espansione, che brevemente ricordiamo: solidità dei bilanci di famiglie e imprese, risparmi storicamente elevati e generalmente superiori ai trend pre-pandemici, robusto ciclo d’investimenti globale, domanda pregressa specie nei servizi. In negativo tuttavia, dato il contesto attuale di elevata inflazione, si prospetta un ulteriore peggioramento del trade-off tra crescita e inflazione che complica la risposta delle banche centrali: appare infatti inevitabile una revisione sfavorevole dello scenario, al ribasso per la crescita e al rialzo per l’inflazione, benché con ampie differenze tra le diverse aree geografiche.

In prospettiva, l’impatto macroeconomico e di mercato degli sviluppi geopolitici dipenderà dai seguenti fattori: composizione e ampiezza delle sanzioni (realizzate ed eventuali), evoluzione dell’inflazione e risposta della politica monetaria, andamento delle condizioni finanziarie, fiducia degli agenti economici e degli investitori,evoluzione dei premi per il rischio incorporati nelle diverse classi di attivo finanziario.

Il ruolo fondamentale delle materie prime

Le sanzioni finora imposte alla Russia da Stati Uniti ed Europa sono state eccezionalmente severe e coordinate. Ricordiamo in particolare l’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamento internazionale SWIFT e soprattutto il congelamento delle riserve della banca centrale russa, una misura che impedisce all’autorità monetaria di contenere l’impatto negativo delle sanzioni sull’economia domestica (ad esempio contrastando il crollo della valuta) e che potrebbe limitare la capacità di alcune istituzioni di far fronte ai propri obblighi finanziari nei mercati internazionali Sono inoltre possibili sia nuove sanzioni che ritorsioni da parte russa

Nonostante la loro severità, le misure finora approvate da Stati Uniti ed Europa sono state disegnate in modo da non compromettere l’offerta di energia da parte russa, con riguardo al petrolio e soprattutto al gas naturale. Nonostante la dimensione limitata della propria economia (meno del 3% del PIL mondiale), la Russia svolge infatti un ruolo fondamentale come produttore ed esportatore mondiale di materie prime: ad esempio la produzione russa rappresenta oltre il 12% della produzione mondiale di petrolio, quasi 17% del gas naturale, circa l’11% per il grano, quasi 44% del palladio (usato ad esempio nell’industria automobilistica). L’Europa in particolare importa oltre 30% del gas naturale dalla Russia, e tale percentuale risulta ancora più elevata per l’Italia.

La crisi ucraina ha accentuato un trend di rialzo delle materie prime già in atto da diversi mesi, risultato di fattori sia strutturali (sotto-investimenti e limitata capacità di offerta nel settore dei combustibili fossili, transizione energetica e de-carbonizzazione) sia ciclici (rimbalzo della domanda mondiale post-pandemia). Il prezzo del petrolio ad esempio ha superato i $100/barile, con un aumento di circa 36% dai livelli di inizio 2022. Tali aumenti comprimono sia consumi che investimenti, tramite la riduzione del reddito reale delle famiglie e l’aumento dei costi di produzione delle imprese.

Inflazione e politica monetaria: divergenze USA-euro

L’aumento dei prezzi energetici ha contribuito a spingere l’inflazione ai massimi da alcuni decenni nei maggiori paesi avanzati (ex-Giappone). I trend inflazionistici complessivi sono tuttavia assai diversi tra area euro e Stati Uniti. Il contributo energetico è preponderante nell’area euro, dove oltre metà dell’inflazione annua (5.8% in febbraio) è dovuta alla componente energia (in crescita di oltre 30% sull’anno), a fronte invece di un andamento meno preoccupante per l’indice core che esclude alimentare ed energia (2.7%): nell’economia europea non si riscontrano né un’accelerazione dei salari né un eccesso di domanda di beni e servizi. In contrasto, negli Stati Uniti l’inflazione supera ampiamente 5% anche al netto delle componenti volatili, gli aumenti dei prezzi sono molto più diffusi e la crescita salariale ha già raggiunto livelli non compatibili con l’obiettivo di stabilità dei prezzi nel medio termine, in ipotesi realistiche di aumento della produttività. L’economia USA infatti ha beneficiato lo scorso anno di un eccezionale stimolo fiscale, che ha contribuito ad un eccesso di domanda nel mercato dei beni.

La diversità dei trend inflattivi correnti e previsti, anche alla luce degli sviluppi geopolitici, ha implicazioni diverse per le politiche monetarie, alla vigilia delle importanti riunioni delle banche centrali che si svolgeranno nelle prossime settimane. La Fed ha già comunicato che questo mese inizierà come previsto il ciclo restrittivo: nelle parole del Presidente Powell questa settimana, “ Con l’inflazione ben sopra 2% e un mercato del lavoro molto forte, ci aspettiamo che sarà appropriato alzare l’intervallo target del tasso sui Fed Funds alla riunione di marzo”.

Il ciclo restrittivo, che coinvolgerà sia il rialzo dei tassi ufficiali che la riduzione del bilancio, i proseguirà nei prossimi mesi, ma a ritmi presumibilmente inferiori a quanto finora previsto, e soprattutto con maggiore incertezza: “L’impatto di breve periodo sull’economia USA dell’invasione ucraina, la guerra in corso, le sanzioni e gli sviluppi futuri restano altamente incerti. Decidere la politica monetaria appropriata in questo contesto richiede la consapevolezza che l’economia evolve in maniera inaspettata. Dovremo rispondere con agilità all’evolversi dei dati e dello scenario”.

Se per la Fed il sentiero di normalizzazione non appare più rinviabile, la Banca Centrale Europea fronteggia un contesto più complesso, con un deterioramento relativamente più accentuato sul fronte della crescita. La riunione della BCE prevista la prossima settimana vedrà la pubblicazione delle stime macroeconomiche aggiornate al 2024 e una revisione della strategia complessiva di politica monetaria. Appare improbabile l’avvio in tempi brevi della rimozione dello stimolo monetario, anche tramite una conclusione anticipata dei piani di espansione del bilancio: la banca centrale deve infatti contrastare il rischio di “frammentazione” della politica monetaria, ovvero di condizioni più restrittive nei paesi periferici.

La Presidentessa Lagarde ha riconosciuto che “è già stato fatto un sensibile progresso verso il target di stabilità dell’inflazione a 2% nel medio termine”. La probabile revisione al rialzo delle stime potrebbe vedere l’inflazione ancora molto elevata nel 2022, ma in stabilizzazione a 2% nel 2023 e 2024: sarebbe un passo ulteriore verso il soddisfacimento delle condizioni poste dalla forward guidance per il rialzo dei tassi.  In assenza della guerra ucraina, i tempi sarebbero maturi per concludere un’espansione che ha portato il bilancio BCE a circa 70% del PIL, un livello senza precedenti e ampiamente superiore a quello raggiunto dalla Fed. Tuttavia, il rapido venir meno degli acquisti BCE penalizzerebbe il debito governativo periferico, contribuendo ad un indesiderato irrigidimento delle condizioni finanziarie nell’area dell’euro.

In definitiva, è probabile che la BCE esprima cautela e flessibilità nella futura normalizzazione, con la disponibilità ad intervenire con nuove misure straordinarie per tutelare la stabilità finanziaria e la ripresa europee.

Concludiamo osservando che le condizioni finanziarie nei paesi avanzati—che misurano il costo effettivo di finanziamento di famiglie e imprese—si sono irrigidite nelle ultime settimane ma in modo relativamente contenuto e non tale da compromettere le prospettive di crescita globale, almeno nell’ipotesi di stabilizzazione dei prezzi energetici nei prossimi mesi.

 

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