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Aggiornamento Mercati al 22 Giugno

Nei mercati ancora correzioni e volatilità.

Nelle ultime due settimane la correzione dell’azionario ha superato 8% nella media globale, con una sotto-performance del mercato statunitense e di alcuni settori ciclici e/o penalizzati dal rialzo dei tassi. Diversamente dalle settimane precedenti, il calo è stato significativo anche per il comparto energetico, sulla scorta di prese di profitto (unico settore a registrare ritorni positivi e a doppia cifra da inizio anno) e della recente stabilizzazione del prezzo del petrolio. Il calo a doppia cifra registrato nel secondo trimestre ha quindi accentuato la flessione dell’azionario da inizio anno, che raggiunge circa 20% nella media globale. Hanno sotto-performato i settori più vulnerabili al rialzo dei tassi e al rallentamento economico, quali tecnologia, consumi discrezionali e industriali, a fronte invece di flessioni più contenute per comparti difensivi quali sanità, utilities e consumi necessari. Ancora una volta la correzione dell’azionario è stata guidata dai timori degli investitori sulle ripercussioni di una restrizione monetaria che le stesse banche centrali segnalano come sempre più rapida e significativa. I rendimenti governativi hanno registrato un nuovo balzo a tutte le scadenze, avvicinandosi a 3.5% per il Treasury decennale e a 1.70% per il Bund tedesco nei giorni successivi alle riunioni di Federal Reserve e BCE, per poi ripiegare sensibilmente nei giorni più recenti sulla scorta di segnali di rallentamento economico.

Banche centrali: agire e recuperare credibilità

La profonda flessione di tutte le maggiori classi di attivo da inizio anno è soprattutto il risultato di un’errata valutazione, da parte dei policy maker e soprattutto delle banche centrali, dei trend inflattivi. Negli Stati Uniti un eccesso di stimolo monetario e fiscale, unito a fattori globali quali difficoltà nelle filiere produttive e maggiori costi energetici, ha portato l’inflazione ai massimi da quarant’anni. Nell’area dell’euro non si riscontra invece un eccesso di domanda, ma emergono forti tensioni sui prezzi alla produzione che si stanno diffondendo al consumo. Le banche centrali devono ora recuperare la loro risposta tardiva con azioni più rapide e incisive, che creano un contesto sfavorevole per gli investitori. Occorre soprattutto stabilizzare le aspettative d’inflazione a medio termine, soprattutto quelle espresse dai consumatori, che, diversamente da quelle espresse dai mercati, hanno continuato ad accelerare. Negli USA in particolare, le aspettative d’inflazione incorporate nei Treasury indicizzati hanno stabilizzato poco sotto 3% (per le scadenze a 5 e a 10 anni), mentre le aspettative inflattive a 5 anni dei consumatori (registrate dall’indice di fiducia dell’Università di Michigan) sono salite oltre 3.5% - uno sviluppo decisamente sgradito alla banca centrale.

FED: un' accellerazione nelle azioni e nella retorica

La Federal Reserve ha alzato il corridoio sui tassi ufficiali di 75 p.b. tra 1.50% e 1.75% e ha chiaramente segnalato un’accelerazione ed estensione del ciclo restrittivo. I membri del Comitato Monetario hanno rivisto nettamente al rialzo le aspettative sul futuro andamento dei tassi ufficiali. Secondo la previsione mediana, con una serie di interventi successivi, il tasso sui Fed Funds salirebbe tra 3% e 3.5% entro fine 2022, e tra 3,5% e 4% nel 2023, un livello giudicato dalla banca centrale moderatamente restrittivo per l’economia USA. Tali indicazioni sarebbero consistenti con un nuovo rialzo di 75 p.b. a luglio, seguito da rialzi di 50 p.b. in settembre e di un quarto di punto percentuale nelle ultime due riunioni Fed dell’anno, previste in novembre e dicembre,

La Fed ha rivisto le stime di crescita al ribasso in tutto l’orizzonte previsivo, e prevede il PIL crescere ad un ritmo poco inferiore al potenziale di lungo periodo (sotto 2%). L’inflazione scenderebbe gradualmente ma resterebbe sopra target, in modo più accentuato nel 2023. Nel complesso, Il quadro macroeconomico presentato alla riunione di metà giugno della Fed resta moderatamente costruttivo e consistente con un cosiddetto soft landing dell’economia. Sorprende tuttavia l’ipotesi che il tasso di disoccupazione (oggi prossimo a 3.5%) salga di circa mezzo punto nei prossimi due anni, senza che si verifichi una contrazione dell’attività produttiva nell’intero periodo.

E’ tuttavia interessante notare come, in una serie di interventi istituzionali successivi alla descritta riunione del FOMC (tra cui importanti audizioni al Congresso), lo stesso Presidente della Fed abbia reso progressivamente più cauto e pessimista il messaggio relativo alle prospettive economiche, ammettendo come non si possa escludere una recessione per l’economia USA. Nelle parole di Powell, “...Una recessione è certamente possibile benché non sia ancora il nostro scenario centrale ...realizzare un soft landing per l’economia USA sarà un obiettivo molto sfidante per la banca centrale”.

Rapido e netto irrigidimento delle condizioni finanziarie..

All’azione tardiva delle banche centrali ha fatto da contraltare una risposta eccezionalmente rapida da parte dei mercati sia agli sviluppi inflattivi che alle dichiarazioni delle banche centrali: la loro retorica sempre più aggressiva è stata già sufficiente a provocare un brusco irrigidimento delle condizioni finanziarie, molto più rapido rispetto ai cicli precedenti. Al citato rialzo dei tassi governativi e del costo di finanziamento per le imprese (allargamento degli spread di credito) si sono aggiunti la flessione dei mercati azionari (con impatto negativo sulla ricchezza delle famiglie) e specie negli USA un forte aumento dei tassi sui mutui, destinato a penalizzare il settore housing e il prezzo delle case: quest’ultimo avrà effetti sfavorevoli sui consumi privati ma favorevoli per l’inflazione tramite il calo degli affitti.

...contribuisce a deterioramento prospettive crescita

Dati gli alti livelli d’inflazione (superiore a 8% sia in USA che in area euro per il dato headline comprensivo di energia e alimentare), un rallentamento della domanda dovuto a condizioni di finanziamento meno generose è naturalmente voluto dalle banche centrali. Il sentiero verso un soft landing che eviti la recessione è tuttavia decisamente stretto, dati i molteplici shock che colpiscono l’economia globale, dal protrarsi del conflitto russo-ucraino al balzo del prezzo delle materie prime.

Nell’area dell’euro e in generale nei paesi avanzati, il rialzo dell’inflazione sta comprimendo il reddito reale, più che compensando la salita altrimenti elevata del reddito nominale, sostenuto dalla forte crescita occupazionale. Questo spiega il netto calo della fiducia dei consumatori che prospetta un rallentamento dei consumi privati. In positivo tuttavia, sia in USA che in area euro, le famiglie potranno ancora beneficiare dei risparmi accumulati durante la pandemia e di bilanci finanziari solidi.

Sul fronte delle imprese, dagli indicatori proseguono i segnali di rallentamento ciclico. Secondo le prime indicazioni Flash, nella media dei paesi avanzati l’indice PMI composto in giugno è sceso due punti a 52.1 (il livello più basso dallo scorso gennaio), complice un calo sia in USA che in area euro, trainato da un calo di quasi tre punti dell’indice manifatturiero. Tale livello è consistente con una crescita annualizzata del PIL positiva ma inferiore a potenziale, nonostante un impulso positivo dalle riaperture nel comparto dei servizi.

BCE: verso un nuovo strumento anti-frammentazione

La Banca Centrale Europea ha segnalato la decisione unanime di alzare i tassi ufficiali di 25 punti base alla riunione di luglio, iniziando un “viaggio” di normalizzazione che prevedrebbe un nuovo rialzo (possibilmente anche di 50 punti base) in settembre. L’incremento dei tassi dopo settembre “continuerà gradualmente ma in modo sostenuto”; tuttavia, il Consiglio Direttivo ha scelto di non pronunciarsi sul livello del tasso neutrale (stimabile tra 1.5% e 2%) e ha dichiarato che la BCE continuerà ad avvalersi di flessibilità e gradualismo nelle prossime decisioni di politica monetaria. Il mercato si è spinto a ipotizzare rialzi dei tassi ufficiali europei fino a 2% nel 2023, per poi ridimensionare tali aspettative in risposta ai segni d’indebolimento ciclico.

In prospettiva, la sfida principale per la BCE è quella di conciliare la prevista normalizzazione monetaria con le inevitabili pressioni al rialzo sui rendimenti governativi periferici, Christine Lagarde ha affermato che “…non tollereranno una frammentazione che comprometta la trasmissione della politica monetaria” e, anzi, “ne scongiureranno il rischio”. Ciò potrà essere fatto sia sfruttando la flessibilità del PEPP, che creando un nuovo strumento. La mancanza di chiarezza su quest’ultimo fronte ha spinto temporaneamente al rialzo i rendimenti sul BTP (fino a oltre 4% a dieci anni) e il relativo spread col Bund (fino a oltre 240 p.b.), uno sviluppo a cui la BCE ha risposto confermando in una riunione straordinaria di aver dato mandato ai Comitati rilevanti di accelerare la predisposizione di uno strumento “anti-frammentazione”. I dettagli di tale piano saranno probabilmente resi noti alla riunione di luglio ma la BCE ha già dato un segnale importante che contrasterà con forza un indesiderato allargamento degli spread periferici.

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