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Aggiornamento Mercati al 10 Giugno

Nei mercati finanziari permane un’elevata volatilità, benché con segnali di stabilizzazione delle asset class rischiose

Nelle ultime due settimane l’azionario ha recuperato circa 3% nella media globale, trainato dall’energia e da settori finora molto penalizzati, quali tecnologia e consumi discrezionali. Il saldo dell’ultimo mese è leggermente positivo per l’azionario globale, risultato di un mercato statunitense sostanzialmente invariato e di un recupero prossimo a 5% nell’area dell’euro, con un’elevata dispersione settoriale, e ancora una volta una sovra-performance dell’energia. La performance da inizio anno resta ampiamente negativa, con un calo dell’azionario globale prossimo a 13% ed una sotto-performance del mercato statunitense, più esposto al deterioramento delle condizioni finanziarie. Nell’obbligazionario i segnali di stabilizzazione sono stati più incerti e limitati al mercato statunitense, dove gli investitori continuano a scontare un progressivo rialzo dei tassi ufficiali fino a circa 3% entro i primi mesi del 2023, un livello ormai incorporato nei rendimenti alle diverse scadenze. Nel mese trascorso è proseguita invece la debolezza dell’obbligazionario europeo, con i rendimenti decennali tedeschi risaliti a circa 1.30% in
risposta a segnali sempre più chiari di normalizzazione della politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea. Tale movimento ha penalizzato anche il debito europeo periferico, nonostante i segnali di resilienza dell’economia italiana, dove un inatteso rimbalzo degli investimenti ha consentito alla crescita del PIL di restare in territorio leggermente positivo nel primo trimestre. Lo spread BTP-Bund ha superato i 200 p.b., ma la dichiarata determinazione della BCE ad evitare un indesiderato irrigidimento delle condizioni finanziarie nei periferici (dato il previsto contesto di tassi ufficiali in rialzo)
dovrebbe contenere l’entità di futuri ulteriori allargamenti.

Nell’ultimo mese i differenziali pagati dalle obbligazioni societarie hanno stabilizzato dopo il netto allargamento dei mesi precedenti, evidenziando un deterioramento ancora contenuto nella qualità del credito. L’allargamento degli spread nei comparti a qualità relativamente più elevata (investment grade) appare particolarmente significativo anche nel confronto storico e sembra ormai incorporare un sensibile indebolimento della crescita economica: in ottica di rischio-rendimento migliora quindi l’attrattività relativa del comparto. La flessione da inizio anno dell’obbligazionario nei paesi avanzati varia tra 8% e 12% (considerando sia credito che governativi) e risulta ancora più accentuata nel comparto obbligazionario emergente, dove il ciclo di restrizione monetaria è ormai avanzato.

Condizioni finanziarie in irrigidimento

La volatilità dei mercati riflette la difficoltà d’interpretare un quadro macroeconomico diventato sempre più complesso dati i molteplici shock che hanno colpito l’economia mondiale. Nei primi mesi dell’anno il tema dominante per i mercati è stato il cambiamento di regime monetario: dopo anni di protratta espansione, le banche centrali hanno segnalato con forza crescente la necessità di contrastare il persistente rialzo dell’inflazione. Nei prossimi mesi, l’attenzione degli investitori si sposterà sempre più sull’impatto del nuovo regime sulla crescita.

L’esperienza recente ha mostrato l’efficacia della cosiddetta forward guidance, ossia delle indicazioni delle banche centrali sul futuro orientamento delle politiche di tassi ufficiali e bilancio. Tale guidance si è rivelata uno strumento potente di politica monetaria: la semplice comunicazione delle banche centrali sul futuro corso delle proprie azioni è stata infatti sufficiente a orientare i mercati in senso restrittivo. Benché la Federal Reserve abbia solo da poco avviato la restrizione (tramite tassi ufficiali e bilancio), la correzione del mercato obbligazionario (statunitense e globale) ha già superato quella realizzata nell’intero ciclo restrittivo della Fed nel 2017-2018, e il rialzo dei rendimenti (in termini relativi) si sta avvicinando a quello realizzato nell’intero periodo 2003-2007. In altre parole il mercato ha già pienamente incorporato la guidance delle banche centrali fino al prossimo anno.

Poiché la risposta dei mercati è stata eccezionalmente più rapida rispetto ai cicli precedenti, altrettanto rapido è stato il conseguente irrigidimento delle condizioni finanziarie, utili a valutare la trasmissione delle scelte monetarie all’economia reale. Al rialzo dei tassi governativi e del costo di finanziamento per le imprese si è aggiunto negli USA un brusco aumento dei tassi sui mutui ipotecari (di oltre 200 punti base negli ultimi sei mesi a valori superiori a 5% per le scadenze a 30 anni), un dato che prospetta un rapido indebolimento del settore immobiliare nei prossimi mesi. Il calo delle vendite dovrebbe spingere al ribasso il prezzo delle abitazioni (salito a massimi storici), uno sviluppo che prospetta non solo una moderazione della spesa delle famiglie (tramite il cosiddetto “effetto ricchezza”) negativo, ma anche una ricaduta favorevole sull’inflazione: la componente “affitti e costo equivalente per i proprietari o owner-equivalent rent”, che rappresenta circa 30% dell’indice dei prezzi al consumo USA, ha finora dato un contributo significativo all’inflazione dei servizi.

Banche centrali: dalle parole ad azioni più incisive

Questo mese inizia un maggior attivismo da parte delle banche centrali, che dovranno dar seguito alle guidance con azioni effettive, pubblicando inoltre la consueta revisione trimestrale delle stime macroeconomiche di medio periodo. Si prospetta una generale revisione al ribasso delle stime di crescita e soprattutto una revisione al rialzo delle stime d’inflazione, sulla scorta di persistenti pressioni dai prezzi alla produzione specie in area euro, di un nuovo rialzo nel prezzo delle materie prime alimentari ed energetiche, e di un andamento ancora sostenuto dei prezzi al consumo nel trimestre in corso. In maggio l’inflazione complessiva headline è salita sopra 8% sia negli Stati Uniti che nell’area dell’euro, con un’inflazione di fondo (al netto delle componenti volatili) rimasta a livelli ampiamente superiori al target di medio periodo: l’inflazione core nell’area dell’euro è pari attualmente a 3.8%, e negli Stati Uniti è prossima a 6% (5% secondo il deflatore dei consumi o core PCE monitorato dalla Fed).

La Federal Reserve ha indicato che alle riunioni di giugno e luglio, con due rialzi consecutivi di 50 p.b., porterà il tasso sui Fed Funds a 1.75%. Questo mese inoltre inizierà il piano di riduzione del bilancio (quantitative tightening), che seguirà una sequenza crescente di limiti al reinvestimento dei titoli in scadenza. L’attenzione del mercato sarà rivolta soprattutto al profilo di rialzi atteso dai membri del Comitato Monetario per la seconda metà dell’anno e per il 2023, e al tasso “terminale” a cui il Comitato prevede la conclusione del ciclo di rialzi, presumibilmente sopra il tasso stimato come “neutrale” nel lungo periodo. Il Presidente Powell è apparso finora fiducioso sulla possibilità di realizzare un soft landing dell’economia statunitense, nonostante le condizioni tese del mercato del lavoro e una crescita salariale ancora elevata e incompatibile con l’obiettivo di stabilità dei prezzi. Resta soprattutto incerto l’ammontare complessivo di restrizione necessario a riportare l’inflazione verso target nel 2023.

Nel breve termine gli investitori e la banca centrale potrebbero trarre conforto da un rallentamento nel ritmo mensile di rialzo dell’inflazione core, specie se legato ad un calo della domanda di beni e/o a un allentamento dei vincoli di offerta. La conferma dei segnali di picco dell’inflazione USA resta un fattore fondamentale perché il mercato azionario possa trovare una base più solida per ripartire, considerando anche i dubbi sulla crescita economica che accompagneranno le azioni della Fed.

La Banca Centrale Europea fronteggia un dilemma più complesso di politica monetaria. Da un lato nell’area dell’euro crescono i rischi recessivi, date le ripercussioni dirette della crisi geopolitica, quali lo shock energetico ed il calo di fiducia di consumatori e imprese: diversamente dagli Stati Uniti, il rialzo dell’inflazione riflette soprattutto difficoltà di offerta e non un eccesso di domanda. Dall’altro tuttavia, le condizioni poste dalla forward guidance per avviare il rialzo dei tassi ufficiali sono ormai realizzate: l’inflazione probabilmente resterà pari o superiore a 2% nell’arco dei prossimi due anni, considerando anche fattori strutturali quali la de-globalizzazione e la transizione energetica. La BCE ha già comunicato l’intenzione di riportare il tasso sui depositi a zero entro settembre, e a valori positivi entro fine anno: non si riscontrano più rischi deflattivi e quindi non è più giustificato l’eccezionale stimolo monetario attualmente in atto.

Sviluppo ciclici: alcuni segnali favorevoli

Il nostro scenario centrale sconta un rallentamento significativo della crescita economica globale senza ricadute recessive almeno nel 2022; le prospettive di recessione nel 2023 dipenderanno soprattutto dall’evoluzione delle condizioni finanziarie. Sul fronte congiunturale, i segnali dei recenti indicatori anticipatori sono incoraggianti, benché certamente non conclusivi. Nei maggiori paesi avanzati l’indice PMI manifatturiero in maggio è sceso ancora dai picchi dello scorso anno, ma resta prossimo ai picchi dell’espansione pre-Covid (2010-2019) e a livelli consistenti con l’espansione. Spicca inoltre la resilienza dei servizi, sospinti dalle riaperture post-Covid soprattutto nell’area dell’euro. Un calo ulteriore dei PMI è molto probabile nei prossimi mesi. In positivo tuttavia, prosegue il recupero dell’occupazione nelle economie avanzate, dove la solidità dei bilanci familiari e il risparmio accumulato contribuiscono a calmierare l’impatto negativo sui consumi della contrazione del reddito reale disponibile.

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