Permane incertezza sul grado di indebolimento ciclico
Quello che si è appena concluso è stato un anno particolarmente difficile per i mercati azionari, rallentati dall’inflazione e dalla stretta monetaria delle principali banche centrali, oltre che dalle tensioni geopolitiche e dallo spettro della recessione, fattori che considerati nel loro insieme hanno portato ad una compressione delle valutazioni/multipli nonostante la crescita degli utili sia rimasta in territorio positivo. Nel 2022 alcuni listini azionari si sono mossi inoltre in maniera asincrona, sia a livello geografico ma soprattutto settoriale. Le Borse europee hanno contenuto il calo a meno del 12%, misurato sull’indice pan-europeo Stoxx600, con la peggior performance dal 2018, mentre Wall Street ha chiuso l’anno peggiore dal 2008 ma con differenze molto forti tra le varie componenti. Il Dow Jones ha limitato il calo ad una cifra (-8% in Usd), lo S&P 500 ha ceduto quasi il 19% ed il Nasdaq ha perso circa un terzo del suo valore (-32,40%). Negativi infine i mercati emergenti nel loro complesso (-20% in Usd) ma con ampie differenze tra i diversi paesi (Brasile +13%, MSCI Cina –20%), mentre il Giappone ha visto il Nikkei arretrare di circa il 9% in Yen.
A livello settoriale troviamo invece non solo vinti, ma anche alcuni vincitori. Si contano infatti diverse grande aziende che nell’anno appena trascorso hanno messo a segno rialzi di oltre il 50%, quasi tutte collegate al settore dell’energia e non necessariamente da fonti tradizionali. All’estremità opposta troviamo un insieme più variegato, dove non mancano i nomi più noti del tech e del fintech, come Meta, Tesla, Paypal. Una delle grandi differenze rispetto al passato è stata però l’assenza tra i grandi sconfitti di bancari e assicurativi, fortemente penalizzati nelle precedenti crisi, ma che nel 2022 hanno tenuto molto bene rispetto ai propri benchmark, grazie alla ricostituzione dei margini a seguito dei rialzi dei tassi di FED e BCE.
Proprio le banche centrali dei paesi sviluppati sono state protagoniste anche nell’ultimo mese dell’anno, sorprendendo i mercati con una retorica più hawkish delle attese. Ha iniziato la Federal Reserve il 14 dicembre che, sebbene abbia rallentato la sua stretta monetaria a 50 bps dopo 4 rialzi da 75 portando i tassi tra il 4,25% e il 4,50%, ha bilanciato il messaggio favorevole con toni meno accomodanti, smorzando le aspettative di una pausa nel ciclo di restrizione. Nel dettaglio, la mediana delle proiezioni dei tassi per il 2023 è salita al 5,1%, implicando altri 50 punti base di rialzo nel primo semestre del 2023. Sempre dalle proiezioni del FOMC, emerge inoltre che i tassi dovrebbero restare invariati per tutto il 2023, rinviando il primo taglio al 2024. Ma a far virare i rendimenti in deciso rialzo è stata la BCE il giorno seguente nella sua conferenza stampa probabilmente più hawkish di sempre. La BCE ha alzato il saggio di riferimento di 50 bps, affermando che i tassi ufficiali dovranno ancora aumentare in misura significativa, citando per la prima volta la necessità di portarli su livelli restrittivi per assicurare un ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2%. Sebbene non sia stato specificato un livello del “tasso terminale”, la Lagarde ha prospettato rialzi di 50 bps “per qualche tempo” e ha esplicitamente sottolineato che il tasso terminale atteso dai mercati (inferiore a 3%) è ancora troppo basso.
Dal punto di vista macro per il 2023, se un rallentamento della crescita appare inconfutabile, permane estrema incertezza sul grado di indebolimento ciclico, sul timing e soprattutto sulla gravità di un’eventuale recessione globale. I rischi recessivi per i prossimi trimestri giungono soprattutto dal trascorso irrigidimento delle condizioni finanziarie, il più rapido e intenso da quarant’anni e dovrebbe proseguire inoltre la debolezza dei principali indicatori anticipatori.
Per quanto riguarda il nostro posizionamento, alla luce del contesto che rimane difficile tra inflazione (sebbene in moderato calo), stretta monetaria e bassa visibilità sulla risoluzione del conflitto ucraino e delle stime degli EPS sul 2023 (che rimangono a nostro avviso troppo ottimiste), manteniamo un atteggiamento cauto nei confronti dell’asset class azionaria.
In ottica relativa, dal punto di vista geografico, ribadiamo il moderato sovrappeso al mercato americano, per la sua maggior resilienza nelle fasi di rallentamento economico e per la minor dipendenza degli utili alla variazione del prezzo delle materie prime. Manteniamo il moderato sottopeso sull’Europa per i maggiori effetti della crisi Ucraina sull’economia del Vecchio Continente. Confermiamo infine la neutralità su Giappone (a causa dell'attuale rallentamento dei consumi e minore interventismo da parte delle BOJ e relativi effetti sullo Yen) e sui Paesi emergenti, in quanto riteniamo che il possibile indebolimento del dollaro ed il probabile atteggiamento più accomodante della Cina a causa della nuova andata Covid possano sostenere almeno in parte queste geografie.
Anche in termini settoriali non effettuiamo modifiche ed esprimiamo un posizionamento improntato alla cautela. Positività su settori quality e difensivi come Healthcare e Consumer Staples e più in generale verso aziende che presentano un elevato pricing power nei confronti del clienti e che meglio difendono ricavi e margini nell’attuale contesto ciclico. Continuiamo inoltre a vedere opportunità anche sui comparti Energy e Finanziari, su cui non esprimiamo però un sovrappeso per via del contesto macro incerto ma che restano interessanti dal punto di vista valutativo e potenzialmente beneficiari rispettivamente di tensioni sul mercato del greggio ed aumento dei tassi di interesse.