Nel secondo trimestre le classi di attivo rischiose hanno in genere consolidato le ottime performance registrate nel primo. I ritorni totali dell’azionario da inizio anno sono molto significativi e prossimi a 9% nella media globale, con una performance a doppia cifra per gli indici europei e giapponesi, specchio dei segnali di miglioramento ciclico anche al di fuori degli Stati Uniti.
Si riscontra inoltre una partecipazione più diffusa tra settori dei rialzi azionari, non più concentrati solo nella tecnologia come a fine 2023 ma estesi anche a comparti ciclici quali industriali, energia e finanziari. Nel credito i differenziali pagati dalle obbligazioni societarie sono rimasti prossimi ai valori di medio termine, specchio dell’ottimismo sul ciclo e dell’elevata domanda da parte degli investitori
Azionario e credito hanno beneficiato non solo della robusta crescita statunitense, ma anche della stabilizzazione del settore manifatturiero globale e dei segnali di miglioramento ciclico anche in Europa e Cina, tutti sviluppi che rafforzano la fiducia degli investitori nella sostenibilità dell’espansione mondiale.
Un impulso positivo ai mercati azionari è giunto anche dai risultati aziendali favorevoli: la grande maggioranza delle imprese che hanno riportato gli utili relativi al primo trimestre ha superato le stime degli analisti, con una crescita sull’anno tornata significativa e prossima a 5% negli USA, e ancora negativa ma in recupero nell’area dell’euro, a conferma del miglioramento ciclico in atto. Gli analisti restano ottimisti sulle prospettive di crescita degli utili nei prossimi 12 mesi.
Nelle ultime settimane è leggermente rientrato il rialzo dei rendimenti governativi in atto da inizio anno, con i tassi decennali che hanno stabilizzato in area 4.40% per il Treasury e 2.40% per il Bund.
Gli investitori hanno ormai stabilmente ridimensionato le attese di riduzione dei tassi ufficiali, e ora scontano per fine 2024 poco più di un taglio dei tassi ufficiali USA (oggi superiori a 5%) e circa tre tagli di quelli europei. Anche estendendo l’orizzonte di previsione al 2026, il mercato non prospetta un ampio ciclo espansivo, ma una normalizzazione monetaria contenuta, che si concluderebbe a tassi superiori a quelli storicamente considerati neutrali
Se certamente è prematuro stabilire il tasso di “atterraggio” della politica monetaria in un orizzonte di due anni, va però riconosciuto che l’attuale contesto di resilienza congiunturale e rigidità al ribasso dell’inflazione limita lo spazio complessivo di allentamento monetario
In positivo, la crescita USA dovrebbe proseguire a tassi ancora prossimi a potenziale, grazie al sostegno fiscale e alla tenuta del mercato del lavoro; inoltre l’economia europea sta uscendo dalla stagnazione degli ultimi cinque trimestri. La resilienza finora mostrata dalle economie al protrarsi di tassi reali elevati riduce per le banche centrali l’urgenza di agire
In negativo tuttavia il cosiddetto “ultimo miglio” di discesa dell’inflazione nei paesi avanzati si sta rivelando più difficile del previsto. L’inflazione di fondo, depurata delle componenti volatili alimentare ed energia, resta lontana dal target del 2% data la rigidità al ribasso del prezzo dei servizi.
Negli Stati Uniti i dati di aprile sono stati moderatamente incoraggianti, interrompendo finalmente le sorprese negative. Ma riteniamo improbabile una discesa rapida nei prossimi mesi dell’inflazione core, che a fine anno dovrebbe collocarsi tra 3% e 3.5% negli USA e poco sopra 2.5% in area euro. Quasi certamente il target del 2% non sarà raggiunto prima del 2025.
Per la BCE resta probabile un primo taglio dei tassi ufficiali alla riunione del 6 giugno, ma permane incertezza sulla velocità d’intervento successiva. Per la Fed il primo taglio dei tassi è probabilmente rinviato a settembre, e purché i dati lo consentano La riunione di metà giugno sarà la prima occasione importante per i membri del Comitato Monetario per confermare o smentire la propria disponibilità ad avviare la normalizzazione entro fine 2024.
Concludiamo con alcune brevi considerazioni sulla nostra strategia d’investimento
Lo scenario macroeconomico costruttivo, in particolare il contesto di crescita nominale in calo ma ancora elevata, a sostegno sia dei salari che degli utili, e con atterraggio dell’inflazione a livelli stabilmente superiori a quelli pre-Covid, è favorevole all’investimento azionario, che resta la nostra asset class favorita, anche se le valutazioni generalmente estese potrebbero limitare la dimensione dei futuri rialzi, specie se il cambio di regime monetario fosse rinviato troppo a lungo. Sul fronte obbligazionario, come evidenzia il confronto storico, rendimenti reali prossimi a quelli attuali rappresentano un punto d’ingresso interessante anche per le scadenze più lunghe, in un orizzonte d’investimento di 12-18 mesi che sconti una possibile ulteriore volatilità di breve, in attesa di maggior chiarezza sui trend inflattivi.