Anche il secondo trimestre si è concluso in modo favorevole per le classi di attivo rischiose, che hanno beneficiato del proseguimento dell’espansione e di condizioni finanziarie gradualmente meno restrittive.
La prima metà dell’anno si chiude con guadagni a doppia cifra per l’azionario, in linea con la nostra view costruttiva di inizio 2024. La dispersione settoriale è rimasta tuttavia molto elevata: il rialzo azionario resta trainato dalla tecnologia, grazie agli utili eccezionali realizzati dal settore, a fronte di recuperi molto più contenuti negli altri comparti sia ciclici che difensivi. L’area dell’euro è stata penalizzata dall’incertezza politica in Francia – ma resta brillante la performance dei finanziari, grazie a tassi ufficiali e di mercato storicamente elevati, e ai segnali graduale uscita dell’economia europea dalla lunga stagnazione post-pandemica.
Nel secondo trimestre si è interrotto il rialzo dei rendimenti governativi in atto da inizio anno, che rifletteva soprattutto dati sfavorevoli dall’inflazione americana
Il graduale calo dei rendimenti decennali dalla seconda metà di aprile riflette tre fattori: la ripresa dei trend inflattivi favorevoli nei paesi avanzati, segnali di rallentamento della crescita USA e un orientamento cautamente espansivo da parte delle banche centrali.
La BCE ha tagliato di un quarto di punto i tassi di riferimento, riducendo il tasso sui depositi al 4%: Nella riunione di giugno la Federal Reserve ha invece ridimensionato i tagli dei tassi ufficiali previsti per l’anno in corso, ma ha mantenuto invariato il profilo complessivo di normalizzazione previsto nei prossimi due anni – pari a circa 200 p.b. di tagli cumulati che a fine 2026 porterebbero il tasso sui Fed Funds a 3.25%.
Da parte nostra, continuiamo a ritenere probabili uno o due tagli dalla Fed e due tagli dalla BCE entro fine anno, a meno di dati inflattivi sfavorevoli.
La nostra ipotesi è che le banche centrali siano tolleranti ad un raggiungimento molto graduale del target d’inflazione a 2%, non prima della seconda metà del 2025:
L’inflazione cosiddetta core (ex alimentare ed energia) variamente misurata dovrebbe infatti concludere il 2024 a livelli ancora prossimi a 3% sia in USA che area euro, complice la rigidità al ribasso dell’inflazione dei servizi.
In questo contesto, la lenta discesa dei rendimenti governativi dovrebbe proseguire nei prossimi mesi: per i tassi sul Treasury decennale si può ipotizzare un range indicativo tra 4% e 4.50%. Oltre ai trend inflattivi, l’andamento dei tassi di mercato sarà fortemente condizionato da due sviluppi contrastanti: il grado di rallentamento della crescita e l’impatto delle imminenti elezioni presidenziali americane.
Gli indicatori ciclici restano consistenti con il proseguimento dell’espansione, ma mostra una perdita di slancio ciclico a metà 2024, in particolare un indebolimento dei consumi e del mercato del lavoro americani.
Il tasso di disoccupazione USA è salito a 4.1%, un livello storicamente basso ma superiore di oltre mezzo punto ai minimi del 2023. Se questo trend proseguisse, gli investitori potrebbero mettere in dubbio lo scenario di “soft landing” e tornare a considerare i rischi recessivi, a beneficio di inflazione e tassi.
In contrasto, gli sviluppi politici potrebbero invece esercitare pressione al rialzo sui rendimenti governativi.
Un’eventuale presidenza Trump, specie se sostenuta da un Congresso a maggioranza repubblicana, aprirebbe la strada a politiche commerciali e fiscali potenzialmente dirompenti, quali un aumento del 10% dei dazi su tutte le importazioni, ed un’estensione oltre il 2025 dei tagli alle tasse di famiglie e imprese introdotti nel 2017. Questo potrebbe provocare, dal 2025, un aumento dell’inflazione ed un peggioramento dei trend fiscali.
Lo scenario descritto di crescita nominale in calo ma ancora elevata, e con atterraggio dell’inflazione a livelli stabilmente superiori a quelli pre-Covid, è favorevole all’investimento azionario, che resta la nostra asset class favorita.
Tuttavia le valutazioni estese e l’incertezza associata alle elezioni presidenziali USA potrebbero aumentare la volatilità, specie se il cambio di regime monetario fosse rinviato troppo a lungo. Manteniamo un’esposizione alla tecnologia ma diversifichiamo in settori difensivi quali sanità e utilities.
Sul fronte obbligazionario, rendimenti reali prossimi a quelli attuali restano interessanti: un’eventuale risalita dei rendimenti governativi a livelli superiori a 4.70% per il decennale USA e a 2.70% per il Bund sarebbero occasioni interessanti d’ingresso nella parte a lunga della curva, in un orizzonte d’investimento di 12-18 mesi. Infine per le obbligazioni societarie, il carry resta il principale motore di performance, poiché il premio per il rischio credito appare compresso, come mostrano gli spread ormai inferiori alle medie di lungo periodo.