Nel mese di settembre i rendimenti dei governativi hanno accelerato al rialzo in un movimento sincrono a livello globale in un contesto di crescente volatilità e di repricing al rialzo da parte delle banche centrali dei tassi terminali, intesi come livelli a cui si chiuderà il ciclo restrittivo.
Il tema dominante per gli investitori resta quello della intensità e rapidità della restrizione monetaria necessaria a riportare su un sentiero di discesa un’inflazione che continua a rivelarsi più elevata e persistente delle attese. Lo scenario che si delinea è fortemente dinamico, fra politiche monetarie restrittive e politiche fiscali espansive, con i banchieri centrali che appaiono determinati ad accelerare la restrizione monetaria a scapito anche di impatti negativi sulla crescita.
In Europa, dopo la riunione della BCE di inizio mese, si sono susseguite le dichiarazioni dei vari membri del Consiglio direttivo che hanno confermato che "saranno necessari ulteriori aumenti dei nostri tassi di riferimento per garantire che l'inflazione torni all’obiettivo del 2%” in un contesto di dinamiche inflattive ancora al rialzo. I prezzi al consumo in settembre hanno infatti segnato in Europa un’accelerazione, con l’inflazione Head line salita al 10% dal 9,1% e quella core, a 6,1% a/a, su nuovi massimi dal 1998. Il mercato sembra prezzare un rialzo di 75 punti base nella riunione di questo mese e ulteriori 50 p.b. a dicembre. In tale contesto i tassi dei governativi hanno raggiunto nuovi massimi con quello del BUND oltre il 2,20%, trainati al rialzo dalla forte pressione sui GILT per l’annuncio di un ambizioso piano fiscale, movimento in parte rientrato dopo l’intervento della Bank of England.
La carta italiana si è mossa in linea al mercato sottoperformando marginalmente i core, con lo spread che si è portato in area 250 punti nell’attesa di conoscere la composizione del nuovo Governo ed i dati relativi alla legge di bilancio. L’Italia appare destinata a proseguire nel solco della disciplina fiscale europea, ma il segnale più importante del nuovo esecutivo sarà l’indicazione del nuovo target di deficit/PIL del 2023. In attesa di chiarezza sui piani fiscali, anche con un esecutivo formato in tempi rapidi e con solida maggioranza parlamentare, nelle prossime settimane non si può escludere una certa volatilità, almeno finché non si ridurrà l’incertezza sulla nostra politica fiscale.
La Federal Reserve ha alzato i tassi di 75 p.b. ed ha chiaramente segnalato una stretta decisamente più rapida e intensa di quella prospettata a giugno per contrastare un’inflazione che continua a rivelarsi più elevata e pervasiva delle attese. Il mercato sembra aver prezzato un contesto di tassi che rimarranno alti a lungo ma soprattutto con i tassi reali che restano nella parte alta del range sia in USA che in Europa, dopo aver registrato rialzi di circa 80 basis point per entrambi.
Sul tasso manteniamo un’impostazione neutrale. Benché restino incerti i tassi «terminali» a cui la restrizione monetaria delle Banche centrali si concluderà, riteniamo che le ulteriori pressioni al rialzo sui rendimenti governativi dovrebbero essere contenute. In ottica tattica manteniamo una preferenza per la parte a breve della curva USA mentre siamo più cauti sul segmento a breve euro che appare non ancora allineato ai tassi terminali della BCE.
Nel settore del credito si è registrato un progressivo allargamento dei premi al rischio soprattutto in Europa, più vulnerabile alle tematiche energetiche e geopolitiche, con i principali indici che hanno archiviato il mese con performance negative. Pur avendo il mercato incorporato un rallentamento ciclico con allargamento degli spread, riteniamo che quest’ultimi possano rimanere vulnerabili a ricadute recessive significative rese possibili dalla restrizione sincronizzata e pertanto manteniamo un’impostazione di moderata negatività.
Nella valutazione delle asset class focalizzate sul credito sono stati presi in considerazione fattori quali fondamentali, resilienza e miglior outlook in termini di crescita economica degli USA rispetto all’Europa; questo ci porta al mantenimento dell’overweight relativo agli emittenti HY americani.
Per quanto riguarda l’Europa, in relativo, privilegiamo i subordinati finanziari europei rispetto agli HY europei: la migliore qualità del credito sottostante ai primi (gli emittenti hanno rating principalmente IG ma le emissioni HY) consente di ottenere un carry interessante con caratteristiche che riteniamo difensive rispetto ai puri emittenti HY.
Sugli emergenti manteniamo un giudizio neutrale/negativo. Continua l’inasprimento delle condizioni finanziarie e si aprono nuovi rischi di recessione globale; rimane quindi alta la pressione sull’asset class.