Il 2021 si è rivelato un anno eccezionale per i mercati azionari, con rendimenti superiori a 20% sia nella media globale (in valuta locale) che nei maggiori paesi avanzati (ex-Giappone). La performance è stata mediamente più contenuta nell’area emergente, penalizzata da una gestione meno efficiente della pandemia, dall’avvio del ciclo di restrizione monetaria e dall’inatteso rallentamento dell’economia cinese. In termini settoriali, i rendimenti sono stati mediamente maggiori nei comparti energetico, tecnologico e finanziario. Sono stati premiati sia i settori orientati alla ripresa che i temi secolari.
Tutto il comparto obbligazionario governativo ha invece chiuso il 2021 in territorio negativo, un evento storicamente piuttosto raro, con una flessione prossima a 3% nei mercati statunitense ed europeo. Nella prima metà dell’anno una brusca revisione al rialzo delle aspettative di crescita e inflazione ha spinto al rialzo i rendimenti a lunga scadenza, che hanno in seguito stabilizzato nella seconda metà dell’anno. I differenziali pagati dalle obbligazioni societarie hanno stabilizzato a livelli storicamente compressi, ma con ritorni annui positivi solo nei comparti più speculativi del credito quale l’high yield. Il dollaro si è rafforzato circa 7% rispetto ad euro e mediamente circa 3.5% nei confronti delle maggiori valute, grazie alla resilienza dell’economia statunitense e al differenziale favorevole di tassi d’interesse. Questi fattori hanno contribuito al calo del prezzo dell’oro, prossimo a 4% in ragione d’anno,
Il recupero azionario riflette soprattutto il successo delle politiche monetarie e fiscali nel sostenere la ripresa economica dopo la formidabile caduta produttiva del 2020, e nonostante il protrarsi della pandemia. La ripresa è stata trainata dal manifatturiero e dal consumo globale di beni, grazie alla diffusione dei vaccini che ha progressivamente ridotto il legame tra riapertura delle economie e diffusione dei contagi. Questi fattori, uniti all’eccezionale rimbalzo degli utili aziendali, hanno sostenuto la fiducia degli investitori nella sostenibilità dell’espansione oltre la volatilità di breve termine.
La principale sorpresa nell’anno trascorso è stato il rimbalzo superiore alle attese dell’inflazione globale, sulla scorta dei maggiori prezzi energetici e di distorsioni legate alla pandemia: interruzioni nelle filiere produttive, carenza di input e altre difficoltà di risposta dell’offerta al balzo di domanda hanno spinto l’inflazione ai massimi da circa trent’anni. Tali distorsioni dovrebbero progressivamente ridursi con l’attenuazione dell’emergenza pandemica. Le banche centrali hanno tuttavia segnalato la necessità di contrastare il rialzo dell’inflazione e stabilizzare le aspettative inflattive: il migliorato contesto economico giustifica l’avvio di una graduale riduzione dello stimolo monetario. Con una progressiva riduzione degli acquisti di titoli, la Federal Reserve concluderà il quantitative easing entro il primo trimestre 2022, aprendo la strada al primo rialzo dei tassi ufficiali, che proseguirebbero nei trimestri successivi: attualmente il mercato attribuisce un’elevata probabilità allo scenario di quattro rialzi nel 2022 che porterebbero il Fed Funds a 1% a fine anno. Sta inoltre crescendo all’interno del FOMC il convincimento che sia opportuno avviare nel 2022 una graduale riduzione del bilancio della banca centrale, probabilmente limitando i reinvestimenti dei titoli in scadenza. Il bilancio della Fed è salito al livello record di $8,800 mld (oltre il doppio del livello pre-pandemico); complessivamente nei paesi avanzati, da marzo 2020 ad oggi le banche centrali hanno acquistato titoli privati e pubblici per $11,500 mld. La BCE concluderà il Piano Pandemico di acquisto di titoli entro marzo 2022, ma continuerà ad espandere il proprio bilancio, rinviando presumibilmente il primo rialzo sui tassi ufficiali al 2023.
In questo contesto, le prime sedute del 2022 hanno visto un brusco rialzo dei rendimenti governativi a tutte le scadenza, con i rendimenti sul Treasury decennale saliti circa 30 p.b. ai livelli più elevati degli ultimi due anni, e un andamento analogo per il Bund tedesco: il movimento è stato guidato dal recupero della componente reale, con aspettative d’inflazione in stabilizzazione a livelli elevati.
Anche il 2022 apre all’insegna dell’incertezza sugli sviluppi della pandemia, a quasi due anni dal suo avvento: il profilo trimestrale di crescita globale sarà ancora condizionato dall’evoluzione dei contagi, dati gli effetti comportamentali e le possibili restrizioni all’attività. Nel primo trimestre dell’anno la crescita del PIL mondiale potrebbe dimezzarsi dai ritmi eccezionali del quarto trimestre 2021 (stimabili prossimi a 6% annualizzato), ma appare probabile un rimbalzo nei trimestri successivi.
In prospettiva, progressi sanitari e una crescente capacità di adattamento di governi, famiglie e imprese dovrebbero ridurre l’impatto economico della pandemia rispetto al passato. Nonostante l’elevata contagiosità della nuova variante Omicron, l’evidenza di una minor pericolosità ha finora consentito reazioni governative incentrate sulla spinta vaccinale più che su aumento delle restrizioni, con impatto contenuto sulla mobilità. I recenti indicatori anticipatori segnalano a fine 2021 un indebolimento dei servizi a fronte di un manifatturiero più resiliente: nonostante il calo di dicembre, l’indice PMI composto mondiale (che include entrambi i settori) resta consistente con tassi di crescita mondiale ancora prossimi a 3%.
Dopo gli sviluppi eccezionali degli ultimi due anni, l’anno in corso dovrebbe essere caratterizzato da una graduale normalizzazione su diversi fronti. Dopo il crollo del 3% nel 2020 e il balzo di quasi 6% nel 2021, la crescita del PIL mondiale nel 2022 dovrebbe moderare a tassi prossimi a 4%, con una decelerazione in corso d’anno: al minor impulso dalle riaperture si aggiungerà un sostegno progressivamente minore dalle politiche economiche. I policy maker, benché ancora orientati a sostenere la crescita, hanno ormai avviato una strategia di uscita dall’eccezionale stimolo monetario e fiscale in atto. L’inflazione globale, dopo essere balzata ai massimi da oltre trent’anni, dopo un picco a inizio 2022 dovrebbe rallentare nel corso dell’anno, stabilizzando tuttavia a tassi superiori a quelli prevalenti prima della pandemia.
Lo scenario macroeconomico descritto, benché soggetto ad un livello molto elevato d’incertezza, prospetta un contesto moderatamente favorevole per le classi di attivo rischiose, a fronte di mercati obbligazionari poco attraenti.
La prevista rimozione degli stimoli monetari è coerente con una graduale risalita dei rendimenti governativi reali, ad oggi negativi a tutte le scadenze. I differenziali di credito, storicamente molto compressi, dovrebbero mantenersi in una banda di oscillazione ristretta, con rischi asimmetrici (rischio di modesto allargamento probabilmente superiori a quello di un ulteriore significativo restringimento).
Se l’azionario resta la classe di attivo favorita in ottica di rischio-rendimento, diversi fattori prospettano tuttavia una volatilità decisamente maggiore e rendimenti attesi più contenuti rispetto al 2021, in linea con la dcelerazione attesa del PIL nominale in tutte le maggiori economie.
Il primo rfattore iguarda il descritto cambiamento di regime della politica monetaria dopo tre anni di ininterrotta espansione, che avevano portato le condizioni finanziarie statunitensi (e globali) ad un massimo storico di espansività: va ricordato che nel 2019, l’anno precedente allo scoppio della pandemia e all’introduzione di uno stimolo monetario senza precedenti, la Fed aveva già tagliato tre volte i tassi ufficiali. Un secondo fattore riguarda il livello generalmente elevato delle valutazioni azionarie (prezzo/utile): la salita dei mercati azionari nell’anno in corso non sarà più trainata dall’espansione dei multipli, ma dalla crescita degli utili, che si prospetta ancora significativa (stimabile prossima a 8%) ma certamente meno esplosiva rispetto al 2021 (quando ha ampiamente superato 40% nelle maggiori aree geografiche). Va infine sottolineato che il rimbalzo dei mercati azionari dai minimi del 2020 ad oggi è stato eccezionalmente rapido, specie se paragonato all’uscita da precedenti fasi recessive; dopo la crisi finanziaria 2008-2009, occorsero circa tre anni di recupero dell’azionario per risalire ai livelli pre-recessione.
Tra i rischi principali per gli investitori, citiamo errori di politica economica quali una restrizione monetaria troppo rapida o viceversa troppo tardiva negli USA, o un interventismo mal calibrato delle autorità cinesi che accentui il rallentamento della crescita cinese. La Federal Reserve ha finora convinto gli investitori sulla capacità di contrastare in tempi relativamente rapidi il balzo dell’inflazione con un ciclo restrittivo complessivamente modesto, senza quindi compromettere la ripresa.