Prosegue aggiustamento a rialzo tassi
Il tema dominante per i mercati resta il cambiamento di regime monetario, annunciato con sempre maggior forza dalle banche centrali nei paesi avanzati. Ciò che emerge è una maggior urgenza d’azione da parte delle autorità monetarie, consapevoli di aver finora sottostimato la dimensione e la durata delle sorprese al rialzo dall’inflazione.
La prospettiva di una rimozione accelerata dello stimolo monetario (tramite tassi ufficiali e bilancio), dopo tre anni di ininterrotta espansione ha spinto ulteriormente al rialzo i rendimenti governativi specie nell’area dell’euro.
La scorsa settimana il focus si è infatti spostato sull’Europa: al secondo rialzo consecutivo da parte della Bank of England si è aggiunta una svolta restrittiva dalla Banca Centrale Europea. I rendimenti a breve termine sono giunti a scontare entro fine 2022 due rialzi dei tassi ufficiali nell’area euro (che riporterebbero a zero il tasso sui depositi) e oltre cinque rialzi negli Stati Uniti (che porterebbero il tasso sui Fed Funds almeno a 1.25%). Dalla metà dello scorso dicembre i rendimenti decennali sono saliti circa 60 p.b. per il Bund tedesco (a 0.22%) e circa 40 p.b. per il Treasury (a 1.90%). La performance è stata relativamente peggiore per il debito periferico europeo; in particolare il differenziale a dieci anni BTP-Bund è salito a quasi 160 p.b. (da circa 130 p.b. lo scorso dicembre), data anche la prospettiva di una conclusione anticipata del quantitative easing. (dati all’8 febbraio), La exit strategy delineata dalla BCE prevede infatti una sequenzialità nella rimozione dello stimolo, con la chiusura degli acquisti netti prima dell’avvio del rialzo dei tassi.
Dopo la volatilità di gennaio, nelle ultime due settimane i mercati azionari hanno recuperato, benché con divergenze tra aree e comparti: sono stati premiati i settori con valutazioni relativamente meno elevate e/o favoriti dalle prospettive monetarie quali i finanziari (sia statunitensi che europei) e gli energetici, complice l’ulteriore rialzo del prezzo del petrolio (oltre 28% da inizio anno). Il mercato ha inoltre beneficiato delle notizie favorevoli sul fronte degli utili aziendali relativi al quarto trimestre: sul campione di imprese che hanno riportato i risultati (circa metà per l’indice $&P e oltre un quarto per l’Eurostoxx), la grande maggioranza ha superato in modo significativo le stime degli analisti, sul fronte sia degli utili che dei ricavi. Cresce tuttavia la dispersione tra imprese, in base alla capacità di far fronte all’aumento di costi e ricavi, o di tenere il passo con la crescita degli utili stimata dagli analisti in base all’evoluzione del modello di business post-Covid (ad esempio per alcuni titoli tecnologici). Per la prima volta si assiste inoltre ad una revisione al ribasso delle stime relative al primo trimestre e al 2022 nel suo complesso.
In un contesto macroeconomico che si prospetta ancora favorevole, le valutazioni azionarie sono alla ricerca di un nuovo equilibrio che sconti la progressiva rimozione dello stimolo monetario: tra metà 2022 e metà 2023, i bilanci delle banche centrali nei G-4 si ridurranno di un ammontare complessivamente molto superiore a quanto accaduto nell’unico precedente storico di quantitative tightening (tra 2017 e 2019). In questo contesto, per valutare le prospettive economiche assumerà particolare rilevanza la risposta delle condizioni finanziarie (costo di finanziamento di famiglie e imprese, differenziali di credito ecc.) alla prevista variazione di politica monetaria: un loro eccessivo irrigidimento potrebbe compromettere l’atteso rimbalzo della crescita dal secondo trimestre. La sfida per le banche centrali è quella di calibrare la restrizione in modo corretto dato il deterioramento del trade-off tra crescita e inflazione.
La Banca Centrale Europea nella riunione di questo mese ha sottolineato i rischi al rialzo per l’inflazione, che ancora una volta in gennaio ha sorpreso sensibilmente al rialzo (attestandosi sopra 5% per il dato headline e sopra 2.5% per il dato core al netto delle componenti volatili). La Presidentessa Lagarde ha riconosciuto che la crescita salariale nell’area dell’euro resta moderata e compatibile con l’obiettivo di inflazione al 2% nel medio termine; anche le aspettative d’inflazione (oltre i 12 mesi) sono ancorate a livelli prossimi al target. Tuttavia, benché metà circa della crescita annua sia dovuta alla componente energetica, gli aumenti dei prezzi di beni e servizi sono sempre più diffusi, riflettendo un crescente trasferimento al consumo dell’aumento dei costi.
In questo contesto, per contrastare i rischi di maggior persistenza delle tensioni inflattive, la Lagarde ha scelto di non contrastare l’aspettativa dei mercati di almeno un rialzo del tasso sui depositi (oggi pari a –0.50%) entro fine anno: tale rialzo sarebbe preceduto dalla conclusione anticipata del piano di quantitative easing rispetto a quanto finora indicato. Ricordiamo il piano delineato lo scorso dicembre dalla BCE: gli acquisti netti del Piano Pandemico si esauriranno a fine marzo e saranno in parte compensati da un aumento degli acquisti tramite il Piano di Acquisti di Attività (dagli attuali €20bln rispettivamente a €40bln nel secondo trimestre, €30bln nel terzo e €20bln dal mese di ottobre in poi). Il Consiglio Direttivo intende inoltre reinvestire il capitale rimborsato nel quadro del PEPP fino a fine 2024, mantenendone la flessibilità.
La prossima riunione della BCE, che presenterà anche l’aggiornamento trimestrale delle stime macroeconomiche, darà alla banca centrale l’opportunità di revisionare la strategia complessiva di politica monetaria, segnalando in che misura siano soddisfatte le condizioni per avviare la rimozione dello stimolo.
La forward guidance stabilisce le condizioni necessarie per poter avviare il rialzo dei tassi ufficiali: l’inflazione deve raggiungere il 2% “ben prima della fine dell’orizzonte di previsione del Consiglio Direttivo (tra 2022 e 2024) e in maniera durevole per il resto dell’orizzonte di proiezione”; inoltre il progresso dell’inflazione di fondo deve essere coerente con questi obiettivi di medio termine.
La Presidentessa Lagarde ha riconosciuto che “è già stato fatto un sensibile progresso verso il target di stabilità dell’inflazione a 2% nel medio termine”. In marzo la probabile revisione al rialzo delle stime potrebbe vedere l’inflazione ancora elevata (sopra 3%) nel 2022, ma in stabilizzazione a 2% nel 2023 e 2024: sarebbe un passo ulteriore verso il soddisfacimento delle condizioni poste dalla forward guidance per il rialzo dei tassi. Resta tuttavia più incerta la revisione della exit strategy dall’APP. Da un lato i tempi sono maturi per concludere un’espansione che ha portato il bilancio BCE a circa 70% del PIL, un livello senza precedenti e ampiamente superiore a quello raggiunto dalla Fed. Dall’altro, il rapido venir meno degli acquisti BCE penalizzerebbe il debito governativo periferico, contribuendo ad un indesiderato irrigidimento delle condizioni finanziarie nell’area dell’euro.
Concludiamo con una breve osservazione sui recenti sviluppi ciclici. Gli indicatori cosiddetti ad alta frequenza (quali i tassi di mobilità e i consumi energetici) e i più tradizionali indicatori anticipatori della congiuntura (quali le indagini sulle imprese e gli indicatori di fiducia) segnalano inequivocabilmente una perdita di slancio ciclico tra fine 2021 e inizio 2022. L’indice PMI composto globale è sceso ulteriormente in gennaio (a 54.3), a livelli consistenti con un tasso di crescita del PIL globale inferiore a 3%: se realizzato, si tratterebbe del trimestre più debole dell’attuale espansione. Il calo è stato più significativo nel comparto dei servizi (sia negli Stati Uniti che nell’area dell’euro), e viceversa più contenuto nel manifatturiero dei paesi avanzati; si segnala invece un deterioramento dell’attività industriale cinese che potrebbe riflettere la politica di “tolleranza zero” alla diffusione dei contagi, con significative restrizioni all’attività. Il calo della crescita globale riflette soprattutto la moderazione dei consumi, legata a sviluppi pandemici, effetti comportamentali, e calo dei redditi reali in risposta alla fiammata inflattiva. Tali fattori dovrebbero attenuarsi nei prossimi trimestri.